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Emergenza migranti, la prospettiva della dignità - Matchman News
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Emergenza migranti, la prospettiva della dignità

E’ in pericolo la vita e la dignità umana di centinaia di migliaia di persone

E’ in pericolo la vita e la dignità umana di centinaia di migliaia di persone

Il Papa ci invita da tempo e con accorati e costanti appelli a farci interrogare e riflettere sull’esodo di migranti che stanno venendo in Europa. C’è in discussione la vita e la dignità umana di centinaia di migliaia di persone.

Oltre all’insegnamento biblico ed evangelico, basterebbe ricordare le migrazioni del popolo ebraico o la migrazione della famiglia di Giuseppe, Maria e del piccolo Gesù in Egitto, ci sono altri criteri che dovremmo tenere ben presenti:

– Ogni migrante è un essere umano con una propria dignità, non una opportunità ‘politicamente strumentalizzabile’;

– E’ necessario intervenire per ridare ai migranti il diritto di vivere nelle proprie nazioni, il diritto di non migrare o di farlo solo per scelta e non per necessità;

– Le Nazioni hanno il dovere di regolare e ricevere i migranti, offrendo ospitalità e conciliandola con il ‘bene comune’;

– I migranti hanno la responsabilità di partecipare allo sviluppo del bene comune della nazione che li accoglie e contribuire ad esso anche con il lavoro.

Tuttavia, oltre a considerare ben poco queti quattro principi generali rintracciabili nella Dottrina Sociale della Chiesa, mi sembra ci sia anche una parziale visione della situazione e delle azioni necessarie nel breve, medio e lungo termine.

L’esodo a cui stiamo assistendo non viene solo dal sud africano del mondo, dal centro Africa ma anche da oriente e, guarda caso anche da Iraq, Siria e Afghanistan. Vogliamo prenderci la responsabilità e fare ammenda per i disastri provocati da noi stessi in quei Paesi? L’Occidente vuole assumersi le proprie responsabilità verso ciò che si è provocato in Iraq, in Afghanistan, in Siria, in Libia, in Egitto, in Tunisia? Continueremo a chiudere gli occhi rispetto al nsotro passato fino a quando? Pensiamo forse che chilometri di filo spinato o muri di tre metri ci esimeranno dal rispondere dei nostri torti, causati per di più da semplici calcoli egoistici?

Pensavamo che il muro di Ungheria bastasse, o quello di Bulgaria o quello greco o il turco? Immaginavamo che il ‘campo di concentramento’ di Calais o quello al confine con la Macedonia potessero rimanere distanti dagli occhi e celati ai cuori?

C’è un movimento di popoli e persone come ma accadde nel ‘900, eppure non è la prima volta che l’umanità deve affrontare questi esodi di milioni di uomi e donne che scappano per fame e guerre e perchè i torti subiti, causati per di più dagli egoismi occidentali, li costringono a cercare una terra dove, con fatica e sacrificio, possano dare un futuro migliore ai propri figli. Abbiamo già scritto delle follie europee e dello sbaglio di politiche di brevissimo periodo, ancor oggi concentrate su finanziamenti per lezioni sui diritti umani e meno sulla imprenditorialità locale.

Oggi, nel rilanciare una riflessione ed invocare un ripensamento strategico e benefico nelle relazioni tra EU e paesi africani e del mediterraneo, vorrei muovere alcune altre proposte, a partire dalla responsabilità italiana.Lo faccio per la stima nei confronti della Farnesina e della Lady Pesc e per il ruolo che l’Italia ha tradizionalmente avuto nel Mediterraneo.

Primo. E’ indispensabile promuovere una conferenza operativa, della durata necessaria per approvare misure intelligenti ed efficaci, che coinvolga non solo la UE ma tutti i Paesi del Mediterraneo, inclusa Turchia e i Paesi africani interessati e che abbia a tema come rispondere alla migrazione e all’esodo di questi milioni di persone.

Misure di breve, medio e lungo termine devono essere prese nello stesso contesto e secondo una logica condivisa da tutti gli interessati. Aspettare altri milioni di immigrati, sperando che nuovi muri blocchino o fermino le speranze e le necessità della povera gente disperata, è una ingiustizia oltrechè una illusione tragica. Attendere che le preoccupazioni dei cittadini europei crescano a tal punto da affidare il loro voto a xenophobi e populisti, non solo da irresponsabili ma anche da dissennati.

Secondo.Insieme all’Onu, che dovrebbe approvare nel mese di Settembre un ‘Action Plan’ in difesa delle minoranze religiose e dei cristiani e, nello stesso tempo, inviare la richiesta di imputazione al Tribunale dell’Aja per i crimini commessi dal Califfo e dai Daesh, all’Egitto e ai paesi confinanti con la Libia, assumersi la ‘Responsabilità a proteggere’ il popolo e le tribù libiche e così, estirpare gli schiavisti. L’Italia, anche e forse ancor più in questo caso, ha una secolare responsabilità nei confronti del popolo libico che non possiamo nè dimenticare nè eludere.

Abbiamo inviato i nostri militari in Afghanistan e Iraq, dobbiamo guidare una medesima e più ampia azione di guerra in Libia. La fine della tragedia libica comincia con la fine dell’Isis in Libia e coincide con l’inizio della ricostruzione economica e civile del Paese. La Lega Araba aiuterà, ma noi non possiamo nasconderci tra le onde del Mediterraneo, nè accontentarci di lanciare salvagenti. Abbiamo un compito da svolgere, un esodo ci interpella sino alla viscere, non perdiamo tempo con polemiche su i direttori dei musei (4 giorni di TG) o funerali di ‘casamonica’ (tre giorni di TG). Prendiamo l’iniziativa, tra l’altro così facendo combatteremmo veramente il caporalato e la schiavitù in Italia e oltre alla giustizia e al rispetto della dignità umana ci guadagneremo qualche miliardo di gettito.

Non smette il Papa Francesco di pregare e di invitarci ad unirci a lui nella preghiera per le vittime dei trafficanti di esseri umani, per i migranti che viaggiano verso la speranza. Il Papa ci ha chiesto di interrogarci su quello che sta avvenendo, di assumerci una responsabilità e svolgere un compito. Il vertice europeo dei prossimi giorni potrà segnare un passo, bisognerà capire dagli esiti se la direzione sarà quella che promuove la giustizia e la dignità umana o l’ennesima svolta verso le preoccupazioni politiche interne dei singoli paesi.

Luca Volontè

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