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Fertility Day, a proposito delle polemiche - Matchman News
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Fertility Day, a proposito delle polemiche

Di Antonio Casciano * Ho meditato a lungo prima di accingermi a scrivere le scarne righe che seguono, combattuto tra due desideri opposti dell’animo, ambedue ragionevoli, cogenti, in ultima analisi legittimi e tuttavia escludenti e non parimenti fondabili: dare sfogo al comprensibile sdegno che nasce al cospetto della povertà argomentativa di chi mostra di volersi […]

Di Antonio Casciano * Ho meditato a lungo prima di accingermi a scrivere le scarne righe che seguono, combattuto tra due desideri opposti dell’animo, ambedue ragionevoli, cogenti, in ultima analisi legittimi e tuttavia escludenti e non parimenti fondabili: dare sfogo al comprensibile sdegno che nasce al cospetto della povertà argomentativa di chi mostra di volersi […]

Di Antonio Casciano *

Ho meditato a lungo prima di accingermi a scrivere le scarne righe che seguono, combattuto tra due desideri opposti dell’animo, ambedue ragionevoli, cogenti, in ultima analisi legittimi e tuttavia escludenti e non parimenti fondabili: dare sfogo al comprensibile sdegno che nasce al cospetto della povertà argomentativa di chi mostra di volersi appassionare a un tema che meriterebbe ben altra conoscenza, coscienza e, probabilmente, tatto linguistico, quale quello della fertilità, oppure tentare di offrire ai fruitori della campagna promossa dal Ministero della salute, il Fertility Day appunto, qualche strumento condivisibile in vista di un approccio conoscitivamente fruttuoso, intellettualmente onesto, prospetticamente utile al complesso novero di tematiche che lo slogan che dà il nome dall’iniziativa governativa sottende e che vanno dalla fertilità alla natalità, dalla salute sessuale a quella riproduttiva, dalla proposta di una procreazione responsabile a quella di un’antropologia integrale che non riduca la generazione umana alla mera riproduzione, né all’idolatrico esercizio della sessualità, da propiziare magari con la scelta di una vacanza romantica che, favorendo la produzione di endorfine –come recita lo spot danese preso a modello dai novelli propugnatori di un lessico “politicamente corretto” sul tema– può assicurare prestazioni sessuali di successo.

La frivolezza cui rinvia il medesimo spot –che, per inciso, sembra ispirato, oltre che da una buona dose di nordico realismo, anche, e non ultimo, da un marcato accento patriottico che in Italia avrebbe generato reazioni molto più scomposte– è in realtà indice di una strisciante banalizzazione del sesso che si iscrive in una più ampia cultura antropologica che si sta affermando e che presenta come corollari principali da un lato una visione edonisticamente strumentale della sessualità e dall’altro una concezione della procreazione umana riduttivisticamente pensata come prometeica attuazione di una progettualità puramente autoreferenziale della coppia, i cui auspici di genitorialità la tecnica è chiamata a realizzare sempre e comunque. In una temperie culturale simile, è più che naturale assistere al diffondersi di posizioni che acriticamente scorgano in ogni indicazione o suggerimento utile all’esercizio corretto delle capacità riproduttive dei singoli, delle insopportabili, lesive, addirittura oltraggiose provocazioni da aggirare, sovvertire, se possibile “revocare”, quantunque si tratti norme di condotta basate su verità veicolate, prima ancora che dalla medicina e dalla scienza, dal puro buon senso.

Già, perché di questo si tratta, di un prontuario di direttive, nel senso etimologicamente proprio del termine, atte a consentire una migliore conoscenza di ambiti che per secoli hanno costituito oggetto di tabù e rispetto ai quali ancora oggi si registrano penosi ed allarmanti indici di ignoranza, confusione, indistinzione.
Tuttavia, ciò che in questa prospettiva sembra offrire maggior fomento all’indignazione nostra è la patente contraddizione in cui cadono i saccenti tuttologi del “villaggio globale”, pronti a pontificare contro l’oscurantismo medievale, retrogrado e reazionario di chi si ostina a propinare e difendere una trita e ingrigita dottrina della vita, e ancor più solerti nel tacciare di illibertà e intolleranza l’azione propulsiva e propositiva di chi semplicemente vuole fare dell’informazione scientifica.

E subito uno stuolo, supino e neppure tanto numeroso, di acritici adepti pronti a sostenere il vigore delle proprie argomentazioni a favore del pronunciamento censorio con il fatidico, immancabile, catartico “mi piace”, epifenomeno di una psicologia diffusa, disperatamente alla ricerca di una affermazione identitaria, nel coacervo indistinto del mediale, per dirla con Debord, pullulante di folle virtuali ciarlanti del nulla.

L’iniziativa voluta dalla Ministra Lorenzin, entrando nel merito dei contenuti ufficialmente veicolati sul sito ad essa dedicato, ha a che fare con l’universo affascinante e misterioso della fertilità, da intendersi come la capacità biologica di concepire un figlio in seguito a un rapporto sessuale potenzialmente fecondo, quindi tra un uomo e una donna, così che la gestazione abbia i requisiti necessari a garantire la sopravvivenza del feto durante la gravidanza e la vitalità del bambino dopo il parto.

Dunque, mentre nell’uomo la fertilità è costante, giacché i testicoli sono in grado di produrre gli spermatozoi quotidianamente, nella donna, invece, essa è ciclica e dipende dal giorno in cui si verifica l’ovulazione, ossia la liberazione dall’ovaio di una cellula uovo (ovocita) disponibile per la fecondazione. Ora, è un dato incontestato che le cellule riproduttive femminile, a differenza di quelle maschili, venendo prodotte prima della nascita, ovvero contestualmente allo sviluppo degli organi genitali femminili, sono presenti nel corpo della donna in numero limitato e nel corso della vita, questa quantità si riduce progressivamente fino ad esaurirsi del tutto nel tempo della menopausa. In generale, “la fertilità della donna risulta massima a un età tra i 20 e i 30 anni poi decresce, in modo repentino dopo i 35 anni, fino ad essere prossima allo zero già diversi anni prima della menopausa. Con il passare del tempo, si verificano una progressiva riduzione del patrimonio follicolare e un aumento percentuale di ovociti con alterazioni cromosomiche […]. Anche l’utero subisce un deterioramento funzionale che riguarda lo sviluppo deciduale, la capacità di interazione con l’embrione e l’attività miometriale”.

Dunque il fattore tempo, checché se ne dica, gioca un ruolo di imprescindibile importanza nelle dinamiche relative alla capacità riproduttiva della donna e fare informazione su questo, credo debba avere del meritorio.

Se poi di considera che ha senso parlare di fertilità nel solo contesto della vita di coppia, è naturale che la stessa potrà dirsi feconda solo in presenza di altri requisiti che riguardano specificamente il maschio, come ad esempio la presenza di un numero sufficiente di spermatozoi sani, vitali e dotati di buona motilità; di vie genitali pervie; l’assenza di infezioni o di patologie tumorali.

Ora una campagna che attivi risorse umane ed economiche per promuovere una crescita diffusa nella consapevolezza comune di questi temi, che attengono, con buona pace delle coscienze violate dall’im-pertinenza della iniziativa, al futuro della vita di coppia, familiare e generazionale di ciascuno, dovrebbe incontrare non solo la legittima approvazione dovuta dagli spiriti onesti, ma finanche l’encomio di quanti tengono veramente al bene fisico e psichico delle persone, oltre che al futuro delle nazioni.

Ci spingiamo al punto di chiamare in causa un concetto tanto scomodo, sicuri del fatto che l’utilizzo impregiudicato che ne ha fatto un savio popolo nordico nello spot di cui sopra, ne abbia sdoganato ogni residua implicazione ideologica. Appare davvero difficile accettare di veder riunite in un solo polo di pensiero il razionalismo illuminista, scientista, positivista e avanguardista dei custodi della modernità e del progresso, con la tracotanza disinformata, il polemismo becero, il demagogismo spicciolo, ideologico e goffamente censorio di quanti si sono scagliati contro una campagna di pure informazione scientifica.

Già, perché informare sui temi della fertilità umana e dei rischi connessi a stili di vita malsani –purtroppo oggi sempre più comuni, diffusi, veicolati come modelli e accettati come normali tra i più giovani–, quali il fumo, l’uso di alcol e di sostanze stupefacenti, compresi i cannabinoidi, l’obesità o l’eccessiva magrezza, la sedentarietà o l’eccessiva attività fisica, la promiscuità sessuale e i rapporti contro natura, non può non essere non solo un’iniziativa dovuta da parte dei responsabili del Dicastero della salute in un Paese che voglia dirsi civile, ma altresì una campagna che, volta com’è a sensibilizzare su questioni cruciali della vita presente e futura della giovani generazioni, dovrebbe essere accolta con riconoscente entusiasmo proprio da parte di color che ne sarebbero i naturali destinatari e non solo.

Si è trattato insomma di promuovere un’opera di sensibilizzazione capillare su temi di imponderabile importanza, a partire da dati puramente e semplicemente medico-scientifici: le soluzioni espressive, le formule verbali, gli slogan adottati per comunicarne i contenuti possono risultare, come sempre, all’orecchio di ciascuno, più o meno accettabili, ma questo non vale ad inficiare minimamente né la bontà delle intenzioni che hanno ispirato i promotori, né quella dei contenuti che essi hanno scelto di veicolare.

Così, non mi sembra che residui spazio alcuno né per la ormai frusta e sbiadita polemica femminista, che vorrebbe la donna non ridotta alla sua sessualità o capacità riproduttiva: si tratta di retroguardie ideologiche che hanno perso qualsiasi mordente argomentativo, superate dalla posizione di altre femministe che hanno saputo cogliere nella singolare capacità di accoglienza della vita, propria del corpo femminile, l’elemento su cui basare le proprie rivendicazioni identitarie. Solo se entreremo nell’ottica antropologica di intendere unitariamente le dimensioni corporea, sessuale e riproduttiva della donna, potremo finalmente portarne alla luce e fondarne la sua singolare specificità, rifuggendo gli errori di approcci riduzionisti che attentano alla sua dignità idolatrandone ora il corpo (come sempre più spesso avviene nella mercificazione operata per via della pornografia e di certa pubblicità), ora la sessualità (come avviene nella prostituzione), ora la capacità riproduttiva (come avviene nel caso dell’utero in affitto).

Né mi sembra di poter rinvenire spazio alcuno per accogliere l’altra sterile e decentrata polemica concernente l’assenza ormai cronica di politiche nazionali idonee a sostenere i giovani, la loro formazione specifica, il loro ingresso nel mondo del lavoro, le loro legittime aspirazioni di vita familiare: per quanto si tratti di rilievi tristemente noti e di incontestabile gravità sociale, non possono in alcun modo assurgere a pretesti per sconsigliare o rendere opinabile l’opportunità di una campagna di sensibilizzazione sulla fertilità.

Semmai è vero il contrario: l’assenza delle prime non esonera affatto, semmai obbliga il governo a promuovere almeno le seconde, se è vero, come è vero, che una buona cultura della fertilità e, dunque, una migliore pratica delle fecondità nella coppia, è una questione che appare fatalmente connessa con quella della de-natalità, fenomeno preoccupante che interessa l’intero continente europeo. Il processo di implosione demografica, porta con sé come prioritario effetto visibile, l’invecchiamento delle età medie delle popolazioni, con conseguente crescente bisogno di risorse da destinare a servizi per la terza età e assegni pensionistici pagati per un numero di anni e un numero di persone sempre maggiore e ciò in contesti di austerità e vincoli ai bilanci pubblici in aumento, non può non significare meno risorse per le giovani generazioni.

Più nascite, allora, significa diminuzione dell’età media delle popolazioni e inversione dell’andamento dei consumi, dunque crescita del gettito e revisione delle politiche sociali: in una parola al crescere dei tassi di natalità appare fatalmente connesso il futuro degli Stati e per questo che ogni iniziativa volta a produrre, seppure indirettamente, un risultato di contrazione e regresso degli effetti prodotti dall’inverno demografico, come lo ha definito, Dumont, non può non essere accolta con favore.

Non è certamente il sesso, come pure osservato con una ingenuità non certo innocente, che può salvare il futuro di una nazione, bensì l’incremento di una cultura che abbia ad oggetto l’esercizio corretto, sano e fecondo della sessualità, cultura che passa da una conoscenza non superficiale, né ideologica, del proprio corpo e delle sue stagioni e fasi di fertilità, anche al fine di consentire e permettere una pratica responsabile e cosciente delle proprie capacità riproduttive. Non è offrendo un incondizionato accesso ai mezzi contraccettivi e alle soluzioni abortive, né consentendo un indiscriminato uso delle tecniche di fecondazione artificiale che si creeranno individui più liberi e consapevoli: è vero esattamente il contrario!

L’uso strumentale e in ultima analisi edonistico della sessualità porta con sé una strumentalizzazione reificante delle medesime persone che lo praticano, oltre a creare dipendenze funzionali in ragione della deriva massiva di medicalizzazione crescente della sessualità umana. Riteniamo invece che un approccio consapevole, cosciente, in ultima analisi informato alla propria corporeità non possa non ripagare in termini di un uso autenticamente libero della propria sessualità, libertà nella quale regolare le proprie pulsioni e inscrivere quello slancio di donatività che il mettere al mondo una vita per mezzo dell’incontro sessuale con il proprio partner sempre domanda.

Difficile allora dissentire da chi, come Schooyans, ravvede una interconnessione sempre più forte tra libertà personale, fertilità, maternità, fecondità, famiglia, educazione, partecipazione politica, creatività, speranza: si tratta di coordinate nella cui connessione leggere i fondamenti di una cultura della vita, in cui inserire anche l’iniziativa del Fertilty Day, cultura che con un’evidenza e una cogenza via via più chiare, appare sempre più assediata, minacciata, inficiata da una strisciante e mai manifesta cultura della morte.

*Dottore di ricerca in Etica e filosofia politico-giuridica.
Specializzato in Bioetica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma,
e in Diritti umani alla Università di Navarra, Pamplona

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