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Joyeux Noël, il film. Una verità dimenticata dalla storia - Matchman News
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Joyeux Noël, il film. Una verità dimenticata dalla storia

Vigilia di Natale del 1914, sul fronte occidentale i soldati accampati nelle trincee francesi, scozzesi e tedesche, ispirati dal canto di un soldato teutonico, tenore, e della sua compagna danese, decidono una tregua natalizia, si scambiano sigarette e generi di conforto, ascoltano la messa celebrata dal cappellano dell’esercito scozzese.

Vigilia di Natale del 1914, sul fronte occidentale i soldati accampati nelle trincee francesi, scozzesi e tedesche, ispirati dal canto di un soldato teutonico, tenore, e della sua compagna danese, decidono una tregua natalizia, si scambiano sigarette e generi di conforto, ascoltano la messa celebrata dal cappellano dell’esercito scozzese.

Regia e sceneggiatura di Christian Carion, con Diane Kruger, Benno Furmann, Guillaume Canet, Gary Lewis; prodotto da Nord-Ouest Production/Senator Film Produktion/Artemis Films Production/The Bureau/Media Pro Pictures; 113, Belgio/Francia/Germani/Romania 2005.

Vigilia di Natale del 1914, sul fronte occidentale i soldati accampati nelle trincee francesi, scozzesi e tedesche, ispirati dal canto di un soldato teutonico, tenore, e della sua compagna danese, decidono una tregua natalizia, si scambiano sigarette e generi di conforto, ascoltano la messa celebrata dal cappellano dell’esercito scozzese. Il giorno dopo giocano a calcio, seppelliscono i loro morti e si scambiano lettere e ricordi, prima di tornare all’assurda logica che li vuole nemici. Una tragica fatalità e la reazione crudele delle alte gerarchie avrà pesanti ripercussioni su tutti loro.
Presentato fuori concorso a Cannes nel 2005 e nominato agli Oscar 2006 come miglior film straniero, il film di Christian Carion (nella doppia veste di regista e sceneggiatore), come evidenzia il sottotitolo italiano, aspira a essere la testimonianza di un episodio dimenticato di fratellanza umana all’interno di una guerra che per primo papa Benedetto XV definì “un’inutile strage”.
Per i soldati francesi, tedeschi e scozzesi impegnati sul fronte è sufficiente lasciarsi andare alle note semplici di un canto natalizio per recuperare con naturalezza un senso di comunione umana che li spinge gli uni verso gli altri nella terra di nessuno che separa le loro trincee. Che questo fraternizzare sfoci poco dopo in una celebrazione liturgica della Nascita di Cristo (cui partecipa anche l’ufficiale tedesco, ebreo) è un miracolo niente affatto scontato, ma che gli spettatori, come i protagonisti, percepiscono come l’evoluzione naturale di quel riconoscersi uomini che la musica ha favorito.
Il fraternizzare con il nemico, che si verificò realmente in quel primo inverno in vari punti del fronte, era naturalmente un peccato mortale per chi, nelle alte sfere, mirava a far equivalere il proprio punto di vista con quello del Diritto (e in questa prospettiva, di fatto, fu poi redatto il Trattato di Pace), dimostrando un’ottusità tale da accusare di tradimento addirittura un gatto (come accade in un passaggio del film). Inevitabile, quindi, che alla parentesi di fratellanza segua la repressione, con il trasferimento del battaglione tedesco sul fronte russo e di quello francese su quello di Verdun. Ancor più della cecità delle alte sfere, però, è la morte, improvvisa e assurda, dell’attendente dell’ufficiale francese – ucciso da uno scozzese mentre indossava il cappotto regalatogli da un tedesco – a riportarci dolorosamente alla realtà della guerra.
Purtroppo il tono favolistico con cui è affrontata la vicenda (un po’ fantasiosa la visita al fronte della soprano che ha le angeliche sembianze di Diane Kruger) non favorisce la funzione di memoriale che l’autore aveva voluto affidare al film, che rischia così di perdere la sua efficacia di denuncia di una guerra crudele e fratricida per trasformarsi in un apologo didascalico ed edificante di buoni sentimenti.
Ad ogni modo, se si fa la tara a certe derive sentimentalistiche, nel film non è difficile cogliere – al di là dell’inevitabile retorica – la sincera valorizzazione dello spirito religioso di questo episodio così significativo.
Joyeux Noël è una pellicola che andrebbe vista in versione originale, dato che il doppiaggio (italiano per tutti) fa scomparire nella percezione del pubblico la difficoltà di comunicazione tra i personaggi dovuta alla diversità di provenienza, in un’epoca in cui, con ogni probabilità, gli unici a sapersi esprimere in modo decente in una lingua straniera erano gli ufficiali o le poche persone istruite arruolate tra i soldati semplici.
Significativamente, invece, l’unico momento in cui tutti i soldati possono “comprendersi” è quello della messa, celebrata rigorosamente in latino preconciliare, di cui per una volta si coglie il valore ecumenico più che archeologico.
Nella parte finale del racconto spiace che a rappresentare la Chiesa ufficiale sia un vescovo scozzese nazionalista e guerrafondaio. Non perché all’epoca non ne fossero esistiti (nonostante il chiarissimo intervento contrario alla guerra da parte della Santa Sede) ma perché si finisce per ricadere nel solito cliché dell’opposizione tra la bontà rivoluzionaria del “prete semplice” e la rigidità violenta e militarista dell’Istituzione. Oltretutto i riferimenti alla Crociata e alla guerra per la libertà e contro il Male messi in bocca al vescovo sembrano più riferimenti forzati a certa ideologia neocon contemporanea che al nazionalismo di inizio Novecento, emblematicamente espresso, invece, dalle poesie recitate con spaventosa decisione dai bambini a inizio pellicola.

Elementi problematici per la visione: qualche scena di violenza.

Laura Cotta Ramosino

Locandina tratta da mymovies.it

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