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Simone Pillon: “Dopo il Family Day bisogna entrare nelle istituzioni” - Matchman News
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Simone Pillon: “Dopo il Family Day bisogna entrare nelle istituzioni”

“Dopo il Family Day bisogna entrare nelle istituzioni”. Simone Pillon, avvocato, esperto di diritto di famiglia, parla della manifestazione del 20 giugno a Roma.

“Dopo il Family Day bisogna entrare nelle istituzioni”. Simone Pillon, avvocato, esperto di diritto di famiglia, parla della manifestazione del 20 giugno a Roma.

Archiviato il “Family Day,” ora c’è bisogno di “riuscire ad entrare nelle istituzioni,” lì dove si fanno le leggi e dove la famiglia è davvero sotto attacco. Simone Pillon, avvocato, esperto di diritto di famiglia, anima del Family Day dello scorso 20 giugno, delinea in una intervista a Matchman-News quali sono i passaggi successivi alla grande manifestazione di piazza San Giovanni. Spiega: “Non dobbiamo fare l’errore post-Family Day del 2007, quando, terminata la manifestazione, siamo tornati a casa a risultato raggiunto.” Si deve piuttosto continuare la campagna di sensibilizzazione, spiegare alle persone la “bugia dell’ideologia di genere”, e riuscire infine ad entrare nelle istituzioni, l’obiettivo più difficile perché sono luoghi molto chiusi.

“Parlavo al Parlamento Europeo qualche tempo fa di diritto di famiglia, e sottolineavo che la famiglia è quella che si compone del matrimonio tra uomo e donna. Fui un po’ criticato, mi fu fatto notare che la famiglia nella migliore delle possibilità non esiste, e se esiste è una identità liquida, tutta da definire… Questo dimostra che nelle stanze del Parlamento Europeo, luoghi molto esclusivi, è difficile far penetrare idee difformi dalle idee di base. Il gender è ormai entrato come ideologia condivisa.”

Ma perché tutto questo accanimento in favore del gender? I dati popolari dimostrano che le persone vanno in tutt’altra direzione: in Slovacchia si è difesa la famiglia tradizionale, in Slovenia è accaduto lo stesso, persino in Austria le persone hanno votato in favore della famiglia composta da uomo e donna…

L’ideologia del genere viene da una elaborazione filosofica costruita a tavolino in alcune università del Nord America e poi trasfusa nelle conferenze internazionali dell’ONU, una elaborazione che poi ricade nelle legislazioni nazionali. Dal mio punto di vista, le persone sono convinte dall’ideologia del gender: a furia di incontrarla, a furia di studiarla, questa ideologia conquista le persone. Il vero problema è aiutare le persone a capire che questa ideologia è falsa. Un dibattito molto difficile, dal momento che questa ideologia è diventata un moloch intoccabile, e chi prova a contrastarla viene attaccato.

Come si può spiegare che questa ideologia è una bugia?

Un dato significativo riguarda la violenza contro le donne. Questo è uno dei presupposti dell’ideologia gender. In pratica, viene sottolineato che dobbiamo superare, decostruire lo stereotipo di maschio dominante e donna sottomessa, arrivare a una eguaglianza tra i generi perché così questa violenza non abbia più luogo. Eppure, un dato del 2014 sottolinea che la violenza contro le donne è più diffusa dove l’ideologia del gender è più diffusa, vale a dire nei Paesi scandinavi e del Nord Europa, come Svezia, Norvegia e Danimarca. Dove invece questa ideologia non è diffusa, i tassi di violenza contro le donne crollano. Questo è uno dei mille esempi che potremmo fare per dimostrare come questa ideologia sia contraria alla realtà.

Il Family Day del 2007 rappresentò un grande successo, ma le leggi sulle unioni civili sono ricomparse oggi. Davvero serve manifestare, se poi il processo politico va avanti da sé?

Di fronte a un moloch come l’ideologia del gender, l’unica soluzione è quella di mostrare che dal basso le persone non accettano questa ideologia, che la pensano diversamente. E qualche risposta a livello politico l’abbiamo avuta. Per esempio, il governo Renzi si è rimesso alla Commissione Giustizia, mostrando di non volersi assumere la responsabilità di legiferare in questo ambito. Un emendamento presentato dalla stessa Cirinnà per ammorbidire la definizione di unioni civili è stato rigettato dal presidente della Commissione Giustizia Nitto Palma, che ha voluto si andasse al voto sul testo non emendato… sono segnali che dimostrano come il mondo politico non può ignorare la manifestazione del 20 giugno.

Come va avanti il vostro lavoro?

Stiamo facendo una grande opera di sensibilizzazione, parlando persona per persona. Abbiamo già calendarizzato riunioni del comitato, teniamo alto il livello di attenzione mediatica. Il lavoro si fa su due livelli. Il primo è quello ‘popolare’, che ha riempito piazza San Giovanni. Tutte quelle persone sono venute perché sono stati fatti migliaia di incontri sul territorio. Questa cosa deve continuare. Il secondo livello è quello istituzionale, in un dialogo serrato con la politica. La piazza del Family Day segnala solo l’inizio di un marcamento stretto, di grande attenzione alle leggi, ai testi, agli emendamenti da proporre.

Si è detto: le persone in piazza manifestano contro un diritto. Ma si può manifestare contro un diritto?

Noi manifestiamo contro un diritto (nella fattispecie: il presunto diritto al matrimonio omosessuale, ndr) perché si deve avere il coraggio di dire che per difendere i diritti dei più piccoli e dei più fragili si deve contrastare il diritto del più forte, se questo vuole prevalere. Non siamo contro le persone, e questo deve essere chiaro. Ma siamo convinti che, se ci sono due persone che vogliono realizzare un nucleo familiare e avere un bambino, questo bambino ha diritto ad una mamma ed un papà. Dire questo è per forza di cose andare contro, ma è un andare contro che è un andare per, un andare per la difesa del più piccolo. E d’altronde lo stesso Papa Francesco ha sdoganato la possibilità di manifestare contro i diritti, dicendo lo scorso 14 giugno alle famiglie romane: ‘Dobbiamo andare contro la colonizzazione ideologica’.

Eppure molti movimenti cattolici hanno dichiarato di non condividere la manifestazione, pura avendo partecipato nel 2007.

Nel 2007 le condizioni furono radicalmente diverse. Ci fu una chiamata alle armi da parte della Chiesa cattolica nella persona del cardinal Ruini, allora presidente della Conferenza Episcopale Itliana, e tutti i movimenti furono chiamati a partecipare a questo evento. A distanza di sette anni da questo evento ci sia stato un segno di maturazione. Nel 2007 è stata necessaria una chiamata della Chiesa, oggi nel 2015 la chiamata è stata fatta alle persone e alle famiglie e le persone e le famiglie hanno raggiunto un livello di maturità tale da saper discernere la legittimità di una chiamata, senza aspettare che ci fosse un ‘monsignore pilota’, come dice il Papa, che li abbia chiamati alle armi. Il laicato italiano si scopre così capace di autonomia. Il fatto che alcuni movimenti formalmente non abbiano aderito, non mi preoccupa. Noi non abbiamo chiesto l’adesione dei movimenti in quanto tale, abbiamo parlato alle famiglie. E le famiglie dei movimenti c’erano.

Andrea Gagliarducci

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